Riflessioni su Jung di Augusto Romano è un articolo recensione al saggio pubblicato da M. Trevi, M. Innamorati in cui si augura che non voglia “ripulire” Jung incasellandolo, per amor di chiarezza, in una serie di concetti teorici; al contrario, auspica che ci si avvicini senza paura alla sua opera, accettandone sia la fecondità che la contraddittorietà.
Queste riflessioni su Jung di Augusto Romano sono il commento alla pubblicazione del saggio M. Trevi, M. Innamorati “Riprendere Jung” (Bollati Boringhieri) apparso sulla La Stampa del 27 gennaio 2001, e sono un’opportunità per accostarsi all’ argomento in modo ampio, facendo emergere la complessità junghiana in tutte le sue sfaccettature: originalità, intuizioni geniali e precorritrici, ma pure elementi contraddittori o criticabili.
Complessità che è solo un riflesso di quella umana, del mondo di idee ed esperienze che condizionano l’individuo.
Il lavoro di Jung non è solo struttura e teorie, ma un insieme dinamico in cui si specchia la stessa contraddittorietà e complessità della vita.
Interessante ed originale anche l’incipit dell’articolo di riflessioni su Jung, in cui Jung e Freud son0 paragonati ai due stereotipi caratteriali della commedia dell’arte: il Bianco e l’Augusto:
Articolo: Riflessioni su Jung di Augusto Romano
“Molti anni fa Federico Fellini, che di clown se ne intendeva, nel descrivere le differenze tra il Bianco (elegante, ordinato, sussiegoso, critico, sprezzante) e l’Augusto (goffo, impacciato, disordinato, insofferente, che sempre viene maltrattato dal Bianco), a mo’ di esemplificazione scrisse che Freud era un Bianco e Jung un Augusto.
La citazione mi è tornata alla mente mentre leggevo il libro che Mario Trevi e Marco Innamorati hanno dedicato al riesame di alcuni aspetti dell’insegnamento junghiano.
Riprendere Jung: già nel titolo, che è un calembour un tantino minaccioso, gli autori dichiarano una delle loro riposte intenzioni, che è quella di trasformare Jung in un Bianco.
Operazione a mio avviso non solo votata all’insuccesso ma anche poco conveniente, giacchè Jung è, come viene qui detto, uno scrittore poco sistematico e a volte contraddittorio, ma la sua impurità coincide con la sua fecondità. Depurarlo, sistematizzarlo, riportarlo per così dire all’onor del mondo è certo possibile, però quel che ne resta è un professore strizzato dentro l’abituccio della festa.
Meglio forse che ciascuno tragga da quel vasto deposito di teorie, intuizioni, esperienze di vita ciò che meglio gli si adatta e lo sviluppi secondo la propria natura. Poichè esistono tanti Jung: lo Jung metodologo di cui parlano Trevi e Innamorati; lo Jung teorico degli archetipi; lo Jung osservatore di sogni; lo Jung che indica nella capacità di reggere la tensione degli opposti la condizione essenziale per conservare l’adesione piena alla vita; lo Jung che trova nel dialogo con le figure dell’inconscio il modo per trascendere la limitatezza dell’Io; lo Jung clinico disincantato; e così via.
La rinuncia allo spirito di sistema è ciò che connette Jung alla modernità: come “l’uomo senza qualità”, anch’egli vive in una tessitura di immaginazione e congiuntivi. Al tempo stesso la sua sfiducia nelle teorie onnicomprensive, e di fatto unilaterali, non sfocia mai nel nichilismo, giacchè il suo impegno nella ricerca ha sempre un inconfondibile connotato etico.
Anche i nostri Autori hanno constatato che Jung non si adatta facilmente ad esser messo in bella copia.
Non si spiegherebbe altrimenti quel di più di emotività che circola fra le pagine del libro. E’ infatti singolare che due studiosi di indubbia ascendenza junghiana usino, per stigmatizzare gli aspetti dello junghismo che sembrano loro criticabili, una intonazione così acrimoniosa e dogmatica.
Intendiamoci: per certi versi questo atteggiamento conferisce al libro una singolare e un po’ stravolta teatralità, una umoralità che sfrutta l’artificio retorico di mettere Jung contro se stesso esasperandone i contrasti. Però anche distrae dal contenuto specifico del saggio, inducendo nel lettore una sorta di divertita irritazione.
Incamminatomi ormai sulla strada di riportare i due Autori a quel color Bianco da loro stessi prescelto e che meglio avrebbero indossato se il geloso amore per il Maestro non li avesse costretti a sì aspre rampogne, dirò che, ricondotto sui suoi binari, e cioè liberato dall’apparato polemico, il libro è davvero bello e interessante.
Nessuno aveva sinora messo in luce con tanta precisione e profondità, e con un così rigoroso apparato culturale, alcune delle posizioni più originali e meno divulgate che distinguono nettamente il pensiero di Jung dalla psicologia del suo tempo.
Per ragioni di spazio, mi limiterò a sottolineare due punti essenziali. Il primo riguarda la legittimità della consistenza di teorie psicologiche differenti.
Secondo Jung, giacchè gli individui si differenziano dal punto vista tipologico, la pluralità dei tipi giustifica una pluralità di modelli teorici di riferimento. In altri termini, ogni teoria psicologica è inevitabilmente affetta dall’equazione personale di colui che la elabora. La molteplicità delle teorie non rappresenta dunque una contraddizione e uno scandalo, ma corrisponde alla stessa varietà e complessità della psiche.
Ogni teoria rappresenta una prospettiva, una coerente modellizzazione della vita psichica, in se’ completa ma non assoluta in quanto limitata dalle altre prospettive possibili, esse pure legittime. E’ questa l’epistemologia relativista di Jung che, partendo dall’ammissione del limite intrinseco ad ogni psicologia, si traduce, sul piano operativo, in un atteggiamento non dogmatico, duttile, aperto al dialogo e al confronto.
La disposizione ermeneutica e il problematicismo insiti in questo punto di vista trovano applicazione anche nella prassi terapeutica, che è intesa da Jung essenzialmente come una “interazione dialogica”, un reciproco coinvolgimento di analista e analizzando, uno stare insieme nella comune ricerca di senso.
Siamo qui molto lontani da una concezione oggettivante dell’analisi, in qualche modo implicita nella posizione freudiana. Non solo, ma proprio perchè non è più possibile condividere un’idea “forte” del modello che ogni psicoterapeuta incarna, l’analista sarà pronto a mettere in dubbio, nella situazione di incontro con il paziente, il suo sapere preconcetto. Rispettando così quello che Trevi e Innamorati efficacemente designano come “l’indeterminatezza costitutiva del processo di individuazione”.
Ha scritto Jung:
“In psicoterapia, il grande fattore di guarigione è la personalità del terapeuta: ed essa non è data a priori, non è uno schema dottrinario, ma rappresenta il massimo risultato da lui raggiunto. Le teorie sono inevitabili, ma come meri sussidi…
Occorrono moltissimi punti di vista teorici per dare un quadro approssimativo della molteplicità della psiche.. Ne’ la psiche ne’ il mondo possono essere ingabbiati in una teoria. Le teorie non sono articoli di fede, ma tutt’al più strumenti di conoscenza e di terapia; altrimenti non servono a nulla”.
Siamo tutti pazienti, quanto meno di noi stessi. Uno dei molti meriti di questo libro sta nell’indiretto contributo che esso dà a una propedeutica dell’incontro con la nostra stessa complessità e oscurità.”
Porre accento sulla molteplicità della psiche paragonandola a quella del mondo fa emergere, una volta di più, la corrispondenza con la stessa complessità nei sogni, il legame con gli aspetti soggettivi ed oggettivi del sognatore e l’importanza della “danza” nella tensione tra i Se’ psichici. (La stessa tensione di cui si diviene consapevoli nel lavoro con il Voice Dialogue).
Le riflessioni su Jung di Augusto Romano ci aiutano a meglio comprendere il mondo junghiano ed i vari aspetti approfonditi nel libro di Mario Trevi, e Marco Innamorati Riprendere Jung.
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Testo ripreso ed ampliato da un mio articolo pubblicato sulla Guida sogni Supereva in aprile 2009
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