L’episodio riguarda un adolescente 13enne che accoltella un altro ragazzo per un LIKE alla foto della ex fidanzatina. Sono tante le domande che emergono da commenti ed opinioni che in questi giorni si alternano nei media e nei Social. Genitori colpevoli? Figli troppo soli? Adolescenti ingestibili? Social che amplificano il problema o che SONO il problema? Domande a cui è difficile dare risposta e che coinvolgono il sistema sociale che si ripercuote su quello familiare.
Adolescente 13enne accoltella un altro ragazzo per un LIKE alla foto della ex fidanzatina. Di qui la lite e il chiarimento che si è risolto a botte e, da ultimo, con una coltellata all’addome e alla coscia.
Stiamo parlando di adolescenti, quindi ormoni a palla, impulsività alle stelle e circuiti cerebrali in sommovimento fra estrema plasticità ed estrema fragilità, ma questo episodio a me pare un puro esempio di regressione al “primitivo”.
Abbiamo due torelli che si incornano, due giovani cervi che lottano per la femmina e marcano il territorio.
Abbiamo emozioni di rabbia che prendono il sopravvento, possessività e orgoglio ferito. Uso della violenza per riaffermare se stessi, per lavare l’onta e lenire l’orgoglio ferito.
Adolescente 13enne accoltella un altro ragazzo. Perchè succede?
Ho letto tante opinioni che concordano sull’attribuire ai genitori la responsabilità di episodi come questo. Genitori troppo permissivi, genitori “adolescenti”, incapaci di dare regole e di educare.
Figli abituati ad avere e potere tutto, difesi e coccolati. Figli del benessere immersi in una commistione di reale e virtuale in cui non distinguono i limiti oltre cui non si può andare.
- È veramente tutta colpa dei genitori irresponsabili, oppure il problema è più ampio e collettivo?
- Abbiamo contribuito a formare un ambiente tossico (a cui anche noi adulti fatalmente soccombiamo) per noi e per i nostri figli?
- Il diktat dei Social non offre scampo?
- Un LIKE al posto sbagliato determina il destino? In questa caso: vita o morte.
Non credo che il problema sia facilmente inquadrabile e penso che pretendere di avere la verità in tasca o soluzioni già definite, sia solo un modo per evitare di confrontarsi con una complessità che è parte della vita stessa e, in particolare, della nostra realtà di esseri civilizzati.
Ogni situazione va valutata nel contesto familiare, culturale, sociale in cui si verifica, ma è certo che oggi abbiamo una contaminazione generale fra realtà oggettiva e realtà virtuale che confonde le idee di tutti. Adolescenti e NON.
Adolescente 13enne accoltella un altro ragazzo. Che fare?
Si ribadisce che è necessario tornare ad insegnare educazione e rispetto. Ma non c’è vero rispetto senza conoscenza ed empatia, e non c’è empatia senza educazione emotiva. Il che significa conoscere le emozioni e saperle RI-conoscere il sé e negli altri.
L’ABC delle emozioni dovrebbe essere insegnato a scuola e non solo in famiglia. Siamo arrivati all’assurdo di delegare un ruolo pedagogico a film come InsideOut, a cui comunque plaudo per il risultato.
Io credo si debba partire da QUI. Dall’insegnamento e da un intervento sistemico.
Non è SOLO il bambino o il ragazzo che devono essere educati, ma tutto il contesto intorno, in una formazione concentrica che si espande come cerchi sull’acqua, come ci insegna la Teoria dei Gruppi di K. Lewin.
Questo significa che siamo tutti coinvolti e che tutti abbiamo un carico e una responsabilità. E, come adulti e genitori, ancor più l’abbiamo nei confronti degli individui fragili e che non hanno ancora raggiunto la maturità fisiologica.
Milton Erikson nei suoi Stadi di Sviluppo psicosociale sosteneva che l’adolescente deve risolvere il conflitto di ricerca della propria identità personale e sessuale.
La sfida per l’adulto genitore sarà quella di affiancare e favorire in questo processo, ma anche quella di accettare di sentirsi inadeguato e, a volte, parte del problema.
Mentre per l’individuo sociale, la sfida sarà domandarsi quanto i prodotti del benessere di cui tutti usufruiamo siano inoffensivi e possano concorrere a una realtà virtuosa.
Il sostegno alla genitorialità offre un valido supporto e validi strumenti per affrontare le crisi e le varie fasi di crescita, ma lo scopo di ogni servizio di educazione, sostegno e recupero dovrebbe portare genitori, insegnanti, terapeuti, politici e (perché no?) semplici cittadini, a farsi le domande giuste.
Questo per evitare che le “risposte” arrivino PRIMA e siano viziate da background personali limitati e limitanti, il che non fa altro che aumentare la confusione ed alimentare il potere dei Social, che diventano cassa di risonanza di un malessere generalizzato.
Non ho soluzioni da proporre, ma riflessioni da promuovere.
Per esperienza so che da pensieri coraggiosi, pur confusi o pervasi di sofferenza, nascono alternative.
E con il mio lavoro cerco di offrire uno spazio di confronto in cui possano convivere dubbi e insicurezze, ma in cui possano fiorire anche nuove possibilità.
328 842 8225
Marzia Mazzavillani Copyright © Vietata la riproduzione del testo
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Buongiorno Marni. Come stai cara? Voglio dirti che ho apprezzato molto questo artico di taglio sociologico e diverso dal solito che invita ad una seria riflessione offrendo validi spunti ma senza la pretesa di dare risposte univoche riguardo ad un tema così complesso. Il fatto di cronaca che hai citato mi ha colpito molto quando l’ho letto: come è possibile arrivare ad un gesto così estremo per un “like” dato su un social? Mi ha colpito anche perchè sono molto sensibile all’argomento per un fatto personale. Quando ho scoperto Facebook mi sono iscritta con grande entusiasmo e per un certo periodo è stato bello perchè mi sembrava un modo simpatico di rimanere aggiornata su ciò che riguarda le persone più vicine a me ed anche per ritornare in contatto con vecchi compagni di scuola o persone perse di vista per i casi della vita. Purtroppo non era tutto rose e fiori anzi sono finita nel mirino di una persona sgradevole a cui inizialmente non ho voluto dare corda ma che è riuscita realmente a farmi del male. Sarò stata sfortunata io? Può darsi ma in ogni caso ho deciso ad un certo punto di chiudere il mio profilo come forma di autodifesa. Non scendo nei dettagli qui ma credimi, non ho mai rimpianto quella decisione perchè se ci ripenso sto ancora male e tremo alla sola idea di espormi nuovamente a situazioni del genere per cui non ho mai più voluto iscrivermi a facebook nè ad altri social.
Con ciò non certo voglio dire che tragici fatti di cronaca come quello che hai citato nell’articolo siano “colpa dei social” perchè è chiaro che la problematica è molto più complessa e non può essere certo schematizzata così. Sono molto d’accordo con te quando affermi che nella società di oggi c’è una sempre maggiore e preoccupante carenza nella capacità di gestire le emozioni ed anche di non oltrepassare i limiti del rispetto per la sensibilità altrui. Questo purtroppo lo vediamo anche fuori dagli ambienti virtuali e temo che le generazioni più giovani siano anche più soggette e vulnerabili. L’uso continuo e in molti casi smodato dello smartphone fra i ragazzi che sono nati con queste tecnologie che stimolano ad una fruizione compulsiva e frettolosa di una moltitudine di contenuti (l’opposto di concentrarsi nella lettura di un libro) secondo me ha tolto a molti di loro la capacità di attenzione. Se non hai la pazienza che serve per addentrarti nella complessità di un argomento come fai ad educare te stesso alla riflessione e quindi anche al senso critico e alla sensibilità? In teoria è molto bello avere il mondo in tasca e una quantità di informazioni sempre disponibili come la tecnologia ci permette oggi ma se nessuno ti ha dato gli strumenti critici per farne un uso responsabile allora l’essere sempre connessi “always on” attraverso lo smartphone credo che possa anche diventare un amplificatore delle pulsioni peggiori. Forse essere vissuti in questa epoca tecnologica per molti anzichè una fortuna e un’opportunità è addirittura un freno all’evoluzione personale. Sarò troppo estrema ma questo è ciò che penso. Anche i meccanismi con cui funzionano i social network non favoriscono un’evoluzione sociale positiva e ho paura che siano stati accuratamente progettati a danno della massa di utenti. Penso sia alla polarizzazione delle opinioni che fomenta divisioni nella società (i “meme” sono l’opposto della riflessione critica) ma penso anche al meccanismo perverso di dipendenza dalla “popolarità” e dal consenso che si innesca in molti fruitori.
Anche a me InsideOut è piaciuto.
Un grande abbraccio
Buongiorno cara Vittoria, ho letto con grande interesse e devo dire che condivido quello che dici sull’uso smodato di smartphone e social. Soprattutto i social li trovo allarmanti perchè procurano una sorta di gratificazione e di falsa popolarità che può dare alla testa e che influenza le menti assai influenzabili degli adolescenti. Ho pubblicato un video anche ieri su questo tema.Io credo che ci dovrebbe essere più discussione su questo tema e più consapevolezza del pericolo. Non si tratta di proibire ma di agire capillarmente a livello di famiglia e anche di esempio. Io sono iscritta a FB dal 2007 quando ancora lavoravo per supereva ( ci avevano incoraggiati ad aderire) e all’inizio è stato divertente. Al presente non amo i social, li tollero perchè oggi sono un terreno di pubblicità anche per i professionisti. Hanno un grande impatto a diversi livelli, politico, sociale ,privato. Non si può ignorarli. E purtroppo alcuni fatti di cronaca ne testimoniano l’influsso negativo. Il pensiero critico è sostituito dall’impulsività, dal protagonismo e dal bisogno di consenso o di contraddittorio. L’importante è attirare l’attenzione. Ogni mezzo è lecito. Ci sono soluzioni? non credo e non immediate . Non si può pensare alla censura, ma di certo si può fare qualcosa partendo dalla famiglia e dalla scuola. Cercando mezzi alternativi di uso social. Ci vuole buona volontà e temo che sia proprio quella che manca. Un abbraccio Marni
Buongiorno cara Marni. Le tue sono riflessioni sempre interessanti che condivido interamente. Sull’influsso negativo dei social siamo sulla stessa lunghezza d’onda. Sono consapevole che non si può ignorarli. Anche l’azienda dove lavoro e quelle con cui collaboriamo non ne possono fare a meno perché è un canale di contatto fondamentale con i clienti (attuali e potenziali) ma per fortuna è un ambito di cui non mi devo occupare personalmente perchè visti i precedenti non ne avrei piacere. Purtroppo quel “bisogno di consenso” che è alla base del funzionamento dei social non impatta solo sul settore corporate dove le aziende o i professionisti si ritagliano spazi di visibilità ma va ad impattare anche e soprattutto sull’ambito personale degli individui. Per quelli meno attrezzati di senso critico (giovani e non solo) l’illusione di consenso e popolarità regalata dai social tende a creare dipendenza cosicchè la rappresentazione della propria vita che va in scena sui social per molti diventa il vero centro della propria interazione sociale: una cosa aberrante secondo me. Implica inautenticità, smania di illusorio protagonismo, superficialità nella fruizione frettolosa dei contenuti ed impulsività nelle reazioni verso gli altri che troppo spesso sfocia nella cattiveria violenta della denigrazione pubblica (senza rendersi conto di quanto questa aggressività possa realmente ferire) e nell’incapacità dialettica come conseguenza della superficialità che impedisce di avere capacità di approfondimento della complessità e facoltà di argomentazione necessarie al confronto civile con idee e punti di vista diversi. Queste sono le mie impressioni ricavate da un’esperienza diretta breve e sfortunata che però mi ha dato tanto da pensare.
Di soluzioni definitive non credo che ce ne siano perchè i social sono diabolicamente progettati per essere così allo scopo di massmizzare l'”engagement” degli utenti. Il lavoro specialmente sui più giovani andrebbe fatto nella scuola e quando possibile nelle famiglie per educarli alla riflessione e al senso critico nel senso più ampio del termine. Credo che un buon grado di consapevolezza sia l’unico anticorpo valido. Mezzi alternativi all’uso dei social? La vecchia sana interazione personale non mediata dalla tecnologia che dovrebbe anche risultare più attraente perchè più autentica e significativa. Mi chiedo se il lockdown non abbia avuto un ruolo perverso anche sull’abitudine ad abusare dei social aggravando la situazione.
Nota anche che tu ed io stiamo interagendo attraverso la tecnologia informatica ed è un uso assolutamente virtuoso dei mezzi che abbiamo a disposizione che non vanno demonizzati in se’ e per se’ essendo una grande opportunità se usati con giusto criterio.
Il papà del mio ragazzo Alessandro che ha lavorato per anni nel settore informatico ed è persona saggia mi faceva notare a questo proposito che i ragazzi “nativi digitali” sono più esposti e vulnerabili delle generazioni precedenti perchè danno talmente per scontata la tecnologia da esserne fruitori inconsapevoli e passivi più inclini a farne un uso compulsivo e scriteriato. E’ un’osservazione che ho trovato molto interessante perchè anti-intuitiva. La naturalezza con cui i ragazzi si muovono nel digitale ti lascerebbe presupporre una grande conoscenza del mezzo ma il più delle volte così non è.
Un grande abbraccio
Buongiorno Vittoria e grazie per queste ulteriori riflessioni che condivido. Anche a me sembra molto interessante ( e preoccupante) ciò che dice il papà di Alessandro sulla vulnerabilità dei ragazzi nativi-digitali che sono fruitori inconsapevoli.D’altra parte questa è la realtà in cui sono immersi e per loro è “normale” e forse anche rassicurante. Quindi sono gli adulti che una volta di più dovrebbero vigilare. Limiti e censure non servono, anzi. Ma ci deve essere un modo di proporre questi nuovi strumenti senza che diventino fagocitanti. Come te credo che sia la scuola che la famiglia giochino un grande ruolo in questo senso. E credo che continuare a parlarne e NON accettare passivamente questa modalità sia una strada. Un carissimo saluto a te 🙂 marni