Dopo più di un secolo ancora ci confrontiamo con Freud archeologo nei sotterranei della mente, alla scoperta dell’inconscio dell’essere umano, delle radici e delle influenze ricevute. Silvia Ronchey storica e bizantinista ne parla in un breve articolo.
Sigmund Freud, archeologo nei sotterranei della mente, così Silvia Ronchey, presenta il padre della psicoanalisi, uno studioso appassionato e colto, interessato alla realtà come alla cultura del passato passato, curioso di arte, amante del viaggiare, connesso ai personaggi del tempo, interprete di un’ epoca e creativo, instancabile ricercatore.
L’articolo pubblicato sulla Stampa del 24 febbraio 2001, come presentazione alla «Psicopatologia della vita quotidiana. Dimenticanze lapsus sbadataggini superstizioni ed errori», Bollati Boringhieri, tratteggia in poche righe un’immagine di Freud archeologo della mente umana, poetica, ma penetrante, dove la sintesi non limita l’impatto della sua grande personalità. Ecco come Silvia Ronchey parla di Freud archeologo nei sotterranei della mente:
Articolo:Freud archeologo nei sotterranei della mente:
“Sigmund Freud era un ebreo austriaco. Al tramonto dell’impero austroungarico crebbe a Lipsia e fu educato a Vienna.
All’età in cui gli ebrei vengono iniziati alla cabala si iniziò a una disciplina ancestrale accantonata dal progresso, che ritrovò in sé e chiamò psicanalisi. Uomini e donne si rivolsero a lui per superare la cecità e la disperazione del vivere, che gli scienziati all’epoca chiamavano isteria e nevrosi.
Freud fece stendere quelle persone su un giaciglio coperto di tappeti e si sedette alle loro spalle. Non potevano vederlo né indovinarlo. Lui divinava ma non parlava. I pazienti imparavano monologando a seguire le tracce dei discepoli delle antiche sette greche, che guidati nella tenebra da un invisibile e amato maestro apprendevano per via esoterica il segreto inciso sul marmo di Delfi: conosci te stesso.
A Vienna in quegli anni c’erano Klimt e Mahler, Hoffmann e Schnitzler, in strada suonavano la Marcia di Radetzky. Freud e i diciassette adepti della sua setta si riunivano ogni mercoledì. A riceverli, all’ingresso dello studio, c’era un ritratto di Sarah Bernhardt. Quando aveva ventott’anni, Freud l’aveva vista recitare a Parigi la “Teodora” di Sardou.
Freud amava l’antichità. Come Artemidoro scrisse un libro intitolato “L’interpretazione dei sogni”, come Elio Aristide li narrava e li faceva narrare, come Omero sapeva sceverare quelli che provengono dalla Porta di Avorio e quelli che provengono dalla Porta di Corno.
Secondo i greci, i sogni erano rivelatori perché inviati dalla divinità. Secondo Freud, i sogni sono rivelatori perché inviati dall’inconscio. Fra le due concezioni non esiste una gran differenza, poiché nella psicologia di tutti i tempi il mistero e il sacro coincidono.
Freud faceva collezione di oggetti archeologia. Sosteneva si potesse studiare la mente solo risalendo il corso del passato. Secondo Freud conosciamo solo disseppellendo, come archeologi della zona sotterranea, gremita di inestimabili reperti e in cui è conservata ogni cosa, che aveva chiamato inconscio.
In quegli anni l’antica Ilio veniva riscoperta strato dopo strato. Su una nave Freud incontrò Dörpfeld, l’assistente di Schliemann, ma non osò avvicinarlo per l’emozione e l’invidia. Freud vedeva nel sottomondo della coscienza una piccola Ilio da scoprire intatta e pietrificata.
Secondo Freud siamo immersi in un flusso ininterrotto di enigmi, impressioni, ricordi. Il linguaggio inconscio della mente era una delle molte lingue, vive e morte, che Freud padroneggiava.
Amava il greco di Platone e di Sofocle, da giovane se ne era servito per scrivere il diario. Come Edipo di fronte alla Sfinge passò la vita a misurarsi con gli enigmi attraverso cui l‘inconscio comunica i suoi oracoli alla mente.
Freud archeologo della mente umana fu un grande viaggiatore ma ebbe timore di visitare l’acropoli di Atene fin quasi a cinquant’anni. Indossò allora la sua camicia più bella, salì e guardò le rovine. Ma fu colto da un senso di dubbio sulla realtà dì ciò che aveva davanti.
Lo analizzò molti anni dopo in una lettera a Romain Rolland, che divenne il più commovente dei suoi saggi.”
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Testo ripreso ed ampliato da un mio articolo pubblicato sulla Guida sogni Supereva in novembre 2006
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